Quando hai capito di voler diventare camionista?
Avevo 22 anni e lavoravo per un’azienda di scarpe di proprietà della moglie del mio attuale titolare. Ogni volta che vedevo rientrare un camion mi si accendeva una luce dentro. Così alla fine mi sono buttata: ho preso le patenti ed è iniziata questa avventura.
Abbiamo 10 mezzi, tutti Volvo FH: non guido tutti i giorni, ma quando lo faccio non vorrei mai smettere.
Che cosa ti piace di più e che cosa di meno del tuo lavoro?
Quando sali su un camion vedi il mondo letteralmente da una prospettiva diversa. Noi facciamo lungo raggio, capita di stare fuori anche di notte, ma guidare è la cosa che in assoluto mi piace di più, non mi pesa mai.
La cosa che mi piace di meno è il ritorno a casa, quando scendo dal camion!
In quale aspetto del tuo lavoro essere una donna ti aiuta e in quale ti limita?
Quando arrivo a destinazione e devo scaricare il camion, in genere le persone sono più gentili e si offrono di aiutarmi: una “cavalleria” positiva che mi fa piacere ricevere. In genere verso i colleghi uomini non dimostrano la stessa disponibilità e attenzione.
Ma ci sono purtroppo anche dei limiti: è una questione di sicurezza, soprattutto. Se devo fare un viaggio lungo, che prevede la sosta di notte in un’area di servizio, non viaggio mai da sola. Come donna corro maggiori rischi: è un limite che non dipende da noi donne, ma dal contesto.
Se fai il giornaliero, parti al mattino e rientri a casa in serata, non c’è differenza tra uomo e donna. Se fai il lungo raggio purtroppo i limiti ci sono, anche se non si tratta di difficoltà oggettive.
Ci sono ancora pregiudizi per una donna autista?
Nella mia esperienza esistono, senza dubbio. Anche in famiglia: mi ricordo che quando stavo per prendere la patente un mio parente mi chiedeva che cosa mi ero messa in testa, che fare il camionista era un lavoro da uomo. Naturalmente mi sono impuntata ancora di più! Più mi dicevano che non ero adatta per diventare camionista, più mi aggrappavo al mio sogno.
In questo senso è stato davvero essenziale l’aiuto del mio titolare: ha sempre creduto in me, vedeva la mia grande passione ed era convinto che sarei stata una risposta preziosa per l’azienda.
Ed è davvero così: essere anche autista mi aiuta a gestire meglio il lavoro dei colleghi, capisco le loro difficoltà, riesco a mettermi nei loro panni. E comunque sono un jolly, al bisogno salgo su un camion e parto.
Raccontaci la tua giornata tipo.
In realtà non esiste una giornata tipo, proprio perché il mio ruolo in azienda spazia dalla guida alle attività da ufficio. Quando devo partire il preavviso può essere davvero minimo: se vedo che c’è un problema con un autista mi preparo per partire, in qualsiasi ora del giorno o della notte. Per ora non ho una famiglia mia di cui occuparmi, quindi questa flessibilità non mi pesa.
Se incontrassi la Sara dei primi tempi, giovane camionista alle prime armi, che cosa le diresti?
Fai attenzione! All’inizio era senza freni, non temevo niente e nessuno, ero molto giovane e con tantissima voglia di fare. Adesso è diverso, ho quella “paura” sana che mi fa stare più all’erta, sono più consapevole dei rischi e più cosciente delle responsabilità.
Sono sempre stata attenta naturalmente, ma adesso c’è una maturità in più legata all’età e senza dubbio conta anche il fatto che guido meno rispetto ai primi tempi.
Dove ti vedi tra 10 anni?
Dieci anni fa avrei risposto “alla guida di un camion mio”. Oggi acquistare un camion non è più tra i miei obiettivi, amo guidare ma mi piace anche il lavoro d’ufficio. Quindi tra 10 anni mi vedo qui, a gestire sempre meglio l’azienda insieme al mio titolare, tra un viaggio (frequente!) e l’altro.